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Metodologia

Le nuove realtà virtuali e il teatro

Il settore dell’intrattenimento immersivo include una vasta gamma di esperienze, tra cui il teatro immersivo, la realtà virtuale, i giochi di escape room e altro. È stato valutato a più di 60 miliardi di dollari nel 2019. Anche il teatro immersivo, pur rappresentando soltanto una piccola parte di questa industria, contribuisce a tale valore con più di 28 milioni di dollari. Tuttavia, il teatro immersivo sta guadagnando sempre più popolarità e attenzione, grazie alla sua capacità di coinvolgere il pubblico in modo più diretto e interattivo. Il National Theatre di Londra è uno dei leader nell’integrazione della realtà virtuale con il teatro immersivo, utilizzando questa tecnologia per creare esperienze teatrali ancora più coinvolgenti e innovative. Ad esempio, il National Theatre ha realizzato uno spettacolo intitolato “Draw Me Close”, che combina la tecnologia VR con la performance teatrale dal vivo, permettendo agli spettatori di interagire con un’attrice virtuale e di esplorare un mondo virtuale mentre si muovono liberamente nello spazio fisico. Questo tipo di integrazione della realtà virtuale con il teatro immersivo potrebbe aprire nuove strade per l’industria teatrale, creando esperienze ancora più coinvolgenti e innovative per il pubblico. Ma che cos’è il teatro immersivo?

Il teatro è già un’arte immersiva?

La metodologia che CarraroLAB ha sviluppato durante le giornate di cickoff del progetto SPORES, mira a comprendere come il teatro possa essere già di per sé un’arte immersiva. Un’implementazione tecnologica del teatro deve quindi partire dalla conoscenza di quelle caratteristiche che lo avvicinano alle esperienze di realtà virtuale ed aumentata. Amelia Stevens sostiene che ciò che definisce il teatro immersivo come stile di rappresentazione teatrale è la sua capacità di creare intimità attraverso gli elementi di narrazione utilizzati. In altre parole, il teatro immersivo si distingue per il modo in cui coinvolge attivamente il pubblico nella narrazione, creando un’esperienza teatrale più coinvolgente e partecipativa. Stevens vuole ottenere ciò attraverso l’uso di diverse tecniche, come l’utilizzo di spazi non convenzionali, la partecipazione fisica del pubblico alla rappresentazione e l’interazione con gli attori stessi. L’obiettivo è di creare un’esperienza teatrale più intima e coinvolgente, che possa lasciare un’impressione duratura sui partecipanti. Questo può accadere soprattutto eliminando la frontalità del palco e pensando lo spazio come un luogo in cui gli spettatori sono coinvolti fisicamente. In tal modo, il teatro sarebbe verametne “immersivo”, in quanto creerebbe un’esperienza teatrale molto più coinvolgente e interattiva rispetto ai tradizionali spettacoli teatrali, e il suo impatto potrebbe essere molto potente e duraturo sui partecipanti. Sembrerebbe infatti che nel teatro immersivo si tenda ad eliminare la distanza tra pubblico e attori, portandoli insieme nello stesso spazio fisico e abbattendo così la cosiddetta “quarta parete” che separa tradizionalmente gli attori dal pubblico. Questo creerebbe una sensazione di intimità e di partecipazione attiva da parte del pubblico, che si sentirebbe coinvolto direttamente nell’azione e nella narrazione. Inoltre, questo abbattimento della quarta parete può creare un senso di vulnerabilità sia per gli attori che per il pubblico, che si trovano entrambi a dover affrontare la presenza e l’interazione diretta dell’altro. Tuttavia, questa vulnerabilità può anche diventare un’opportunità di connessione unica, poiché gli spettatori si sentirebbero coinvolti in modo più profondo nella storia e nei personaggi, e gli attori avrebbero la possibilità di interagire con il pubblico in modo più diretto e autentico.

Dal videogioco al teatro

Una questione che abbiamo voluto discutere nelle giornate di formazione a Brescia è stata la tendenza a fondere il teatro con il videogioco. Tale pratica permette di aprire nuove frontiere, ma solleva anche diversi problemi.

“Spettattori” è un concetto introdotto dal Videogame Designer and Producer italiano Fabio Viola, che fonde le parole “spettatore” e “attore”. Il termine fa riferimento alla natura attiva del pubblico nel teatro contemporaneo, dove il confine tra chi guarda e chi agisce sul palcoscenico diventa sempre più sfumato. Secondo Viola, gli spettattori non sono solo passivi osservatori della rappresentazione mediale, ma attori a tutti gli effetti, in quanto partecipano attivamente alla narrazione videoludica. L’esperienza teatrale può imparare dal videogioco, puntando a creare un’interazione tra attori e spettatori, in cui entrambi i gruppi contribuiscono alla creazione della storia e della narrazione. Questo concetto si basa sulla convinzione che il teatro debba essere un’esperienza condivisa e interattiva, in cui il pubblico possa partecipare attivamente e in cui gli attori possano interagire direttamente con il pubblico. In questo modo, gli spettattori non sono semplicemente degli spettatori passivi, ma diventano parte integrante della performance teatrale. Il concetto di “spettattori” di Fabio Viola, tra le altre cose, si inserisce nella tendenza del teatro contemporaneo ad avvicinarsi sempre di più al pubblico e ad abbattere le barriere tra palcoscenico e platea, creando esperienze teatrali più coinvolgenti e interattive. Tale tendenza è magistralmente sviluppata dal Terzo Teatro di Eugenio Barba.

Realtà virtuale come connessione

Creare intimità tramite un medium remoto sembra improponibile, ma durante i corsi di formazione abbiamo portato diversi progetti che sosterrebbero il contrario. Nato da una realtà distopica – la pandemia COVID-19 – Human Signs è un progetto d’arte partecipativa online di Yuval Avital che ad oggi coinvolge più di 200 performer della voce e del gesto, provenienti da 50 Paesi diversi. Il progetto inizia con un’auto-testimonianza artistica registrata da Avital, in cui esprime con la voce tutti i sentimenti provati durante l’isolamento. Il risultato è stato un mantra che, “replicando” l’estetica del virus, ha viaggiato in tutto il mondo entrando nelle case degli artisti e invitandoli a rispondere attraverso la voce e il gesto, due delle forme più fondamentali di espressione umana. Human Signs si è costantemente diffuso, coinvolgendo altri artisti e orientandosi verso nuove forme di proliferazione. Le diverse testimonianze artistiche non sono solo espressioni personali della vita in isolamento durante la pandemia, ma sono anche parte di una riflessione collettiva su un momento storico unico; tutte le voci e i gesti diventano parte di un archivio digitale vivente. Tra gli artisti di Human Signs ci sono: artisti sonori, tra cui alcune delle figure più celebri della tradizione antica, della scena contemporanea e di quella sperimentale; interpreti religiosi di ogni fede e figure chiave della musica classica e barocca; ballerini e solisti delle principali compagnie di danza contemporanea e di balletto; coreografi e artisti visionari della performance, provenienti da ogni parte del mondo. Human Signs ha presentato settimanalmente in diretta streaming le testimonianze artistiche in dialogo tra loro e con il mantra di Human Signs attraverso il canale YouTube di Avital. I dialoghi hanno assunto la forma di Ensemble e Costellazioni, offrendo complesse composizioni dinamiche o strutture statiche. La forma finale di Human Signs è il un sito web “website-as-a-museum”.

Portando un profondo senso di unione, Human Signs mira a superare la distanza fisica e l’isolamento. E nel farlo, ci invita a esplorare in modo diverso gli spazi, i linguaggi e le forme di interconnessione, come parte di una riflessione collettiva su un tempo storico unico.

Realtà virtuale come arena

Oltre al tema dell’unione, la realtà virtuale può rappresentare l’esatto contrario, creando luoghi immersivi ad alta competitività. “The Void”, ad esempio, è un parco divertimenti in realtà virtuale che offre un’esperienza completamente immersiva e interattiva. L’azienda è stata fondata nel 2015 e da allora è cresciuta fino a diventare una destinazione popolare per gli appassionati di VR e gli amanti del brivido.

L’esperienza di “The Void” combina la tecnologia VR con set fisici, oggetti di scena ed effetti speciali per creare un ambiente unico e realistico. Gli ospiti indossano una cuffia VR e uno zaino che contiene un computer e un sistema di feedback aptico, che permette loro di vedere e interagire con il mondo virtuale. “The Void” è attualmente presente in diverse città del mondo, tra cui Anaheim, Las Vegas, Dubai e Toronto. L’azienda ha in programma di espandersi in altre località in futuro e di continuare a spingersi oltre i confini della tecnologia VR per creare esperienze indimenticabili per i suoi ospiti.

Questo esempio è stato utilizzato durante la formazione per riflettere non tanto sull’applicabilità di tale modello (troppo costoso per SPORES), ma sul potenziale energetico e conflittuale di queste nuove tecnologie.

L’inquadratura a 360 gradi

Durante il corso di formazione il team di CarraroLAB ha affrontato la differenza tra i media che utilizzano l’inquadratura (cinema, fotografia, pittura, teatro classico, etc…) e quelli che usano lo spazio (pitture rupestri, stanze affrescate, realtà virtuale, Terzo Teatro, etc..). Abbiamo usato il cinema come l’esempio più iconico, in particolare la reazione ostile che Steven Spielberg ha avuto nei confronti del video a 360 gradi. Uno dei primi esempi mainstream di video a 360 gradi è “The Battle of Fallujah”, un documentario in realtà virtuale che mette lo spettatore nel mezzo di uno scontro a fuoco durante la Seconda battaglia di Fallujah, svoltasi in Iraq nel 2004. Il video è stato prodotto dal New York Times e pubblicato nel 2016. Utilizza i filmati catturati dal giornalista embedded Michael Kamber e dal fotografo Louie Palu, che hanno documentato la battaglia e le esperienze dei soldati che vi hanno combattuto. Il video permette agli spettatori di sperimentare l’intensità e il caos della battaglia da una prospettiva in prima persona, con la possibilità di guardarsi intorno e vedere l’azione da diverse angolazioni. L’audio include le trasmissioni radio dei soldati e i suoni degli spari e delle esplosioni, creando un senso di immersione. Lo stesso anno The Guardian pubblica “Displaced”, una serie di documentari in realtà virtuale in due parti che racconta delle storie di rifugiati. Il primo episodio, intitolato “Displaced: Episodio 1”, porta lo spettatore all’interno del campo profughi di Domiz, nel nord dell’Iraq, che ospita oltre 30.000 rifugiati siriani fuggiti dalla guerra civile in corso nel loro Paese. Il video segue la vita quotidiana di tre famiglie che vivono nel campo, evidenziando le sfide che devono affrontare per trovare cibo, riparo e sicurezza, ma anche le loro speranze per il futuro. Il secondo episodio, intitolato “Displaced: Episodio 2”, si concentra sulle esperienze dei rifugiati Rohingya che sono fuggiti dalle violenze e dalle persecuzioni in Myanmar e ora vivono nei campi profughi del vicino Bangladesh. Il video racconta la storia di una famiglia Rohingya e del suo viaggio dal Myanmar al campo profughi, nonché delle sue lotte per adattarsi al nuovo ambiente e trovare un modo per ricostruire le proprie vite. Entrambi gli episodi utilizzano la tecnologia video a 360 gradi per immergere lo spettatore nei campi profughi e dare un’idea di cosa significhi vivere da rifugiati. I video includono anche interviste con operatori umanitari ed esperti della crisi dei rifugiati per fornire un contesto e informazioni di base sui problemi che i rifugiati devono affrontare oggi.

La lezione da imparare è che i video 360 possano essere estremamente coinvolgenti, sia a livello percettivo (The Battle of Fallujah) che emotivo (Displaced). Il teatro può quindi utilizzare questo mezzo come espediente di immersione, come sarà il caso dello spettacolo Elsewhere.

Il teatro e la realtà virtuale

Il termine “realtà aumentata” viene utilizzato per la prima volta da Antonin Artaud, drammaturgo e teorico del teatro francese del XX secolo, nel suo saggio del 1938 intitolato “Il teatro e il suo doppio”. In questo testo, Artaud descrive una forma di teatro che va oltre la rappresentazione realistica e che cerca di creare una sorta di “realismo psichico”, capace di coinvolgere lo spettatore a livello emotivo e sensoriale. L’autore utilizza il termine “realtà virtuale” per riferirsi a questa esperienza teatrale, che si presenta come una sorta di simulazione della vita reale, ma che al contempo si distacca da essa per creare un’esperienza unica e coinvolgente. In questo senso, Artaud anticipa di molti decenni la concezione contemporanea di realtà virtuale, che utilizza tecnologie avanzate per creare un’esperienza immersiva e interattiva che simula la realtà, ma che al contempo ne è distinta. Il concetto di realtà virtuale, che è stato sviluppato e perfezionato grazie ai progressi tecnologici degli ultimi decenni, sarebbe quindi stato originato dal mondo del teatro.  L’utilizzo pratico di tale concetto, nel teatro, non è però comparabile ad altri media, quali i videogiochi e il cinema. CarraroLAB ha però ricercato degli esempi particolarmente utili:

“Wonder.land” è una produzione teatrale musicale che ha debuttato al National Theatre di Londra nel 2015. La produzione è una rivisitazione moderna del romanzo classico di Lewis Carroll “Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie”. La storia segue una giovane ragazza di nome Aly, che fatica a inserirsi a scuola e nella sua vita familiare. Un giorno scopre un mondo virtuale chiamato “Wonder.land”, dove può creare una nuova versione idealizzata di se stessa e fuggire dai suoi problemi. Lo spettacolo presenta un mix di performance dal vivo ed elementi digitali interattivi, tra cui un mondo virtuale proiettato sul palco. La musica, composta da Damon Albarn, fonde influenze pop, rock ed elettroniche per creare un suono unico e contemporaneo. Nonostante le reazioni contrastanti, “Wonder.land” è stato considerato un tentativo ambizioso e coraggioso di unire teatro e tecnologia e rimane un esempio interessante di come gli elementi digitali possano essere incorporati negli spettacoli dal vivo.

“Hamlet 360: Thy Father’s Spirit” è un adattamento in realtà virtuale dell’opera classica di William Shakespeare “Amleto”, prodotto dalla Commonwealth Shakespeare Company nel 2019. La produzione è stata creata in collaborazione con il Creative Lab di Google e ha mostrato il potenziale della realtà virtuale per creare esperienze teatrali immersive. Lo spettacolo è stato girato con telecamere a 360 gradi, consentendo agli spettatori di muoversi e guardare nel mondo virtuale durante lo svolgimento dell’opera. La produzione utilizza una tecnologia innovativa per dare vita all’opera, con un cast di attori che recitano davanti a uno schermo verde e il mondo virtuale creato attraverso immagini generate al computer. “Hamlet 360: Thy Father’s Spirit” è stato ben accolto dal pubblico e dalla critica, che ha lodato l’uso innovativo della realtà virtuale e le ottime interpretazioni del cast. La produzione è stata considerata un esempio innovativo di come la realtà virtuale possa essere utilizzata per migliorare le forme tradizionali di teatro e creare nuove esperienze coinvolgenti per il pubblico. Amleto è veicolo di innovazione anche in “VR + Theatre = YOU as Hamlet”, una produzione teatrale unica nel suo genere, creata da Corinna Di Niro, che combina realtà virtuale e performance dal vivo per offrire al pubblico un’esperienza immersiva nel ruolo del protagonista di Amleto nell’opera di Shakespeare. La produzione inizia con i membri del pubblico che indossano i visori per la realtà virtuale e vengono trasportati in una ricreazione digitale del Castello di Elsinore, l’ambientazione dell’opera. Una volta all’interno del mondo virtuale, il pubblico assume il ruolo di Amleto e viene guidato attraverso la storia da attori in carne e ossa fisicamente presenti sul palco. Gli attori in carne e ossa interagiscono con gli spettatori, dando loro spunti e suggerimenti per guidarli nella storia e nella loro performance. Il pubblico è incoraggiato a immergersi completamente nell’esperienza, a esplorare il mondo virtuale e a interagire con gli altri personaggi dello spettacolo. La produzione è stata progettata per essere interattiva e personalizzata, in modo che ogni spettatore possa vivere un’esperienza unica nell’interpretare Amleto. L’uso della tecnologia della realtà virtuale consente al pubblico di impegnarsi pienamente nella storia e di vivere l’opera da una prospettiva completamente nuova. “VR + Theatre = YOU as Hamlet” utilizza in modo innovativo le nuove tecnologie e l’esperienza immersiva che ha offerto. La produzione è stata considerata un esempio innovativo di come la realtà virtuale possa essere utilizzata per migliorare le forme tradizionali di teatro e creare nuove esperienze interattive per il pubblico.

Lo spacetelling

Il termine “spacetelling” è stato coniato da CarraroLAB, nel corso della sua lunga esperienza nel digitale, per indicare una metodologia di narrazione legata allo spazio e al luogo. È da intendersi come radicalmente opposto a quello di “storytelling”, proprio perché stravolge tutti gli elementi che lo contraddistinguono. Alla linearità della storia si oppone la circolarità dello spazio esplorativo, alla struttura cronologica di un racconto, la struttura estetica di un luogo. Con l’avvento della realtà virtuale ed aumentata, è giunto il momento di curare il rapporto tra le persone nello spazio, e l’organizzazione dello spazio stesso. L’arte teatrale, se vuole inserirsi con successo nella svolta tecnologica delle nuove realtà digitali, deve divenire (o tornare ad essere) l’arte d’immergersi e fare immergere.